J.Brahms: Violin Concerto in D major, Op. 77 vno Ermir Abeshi - L.v.Beethoven: Symphony No.6 in F "Pastorale" Op.68 - W.A.Mozart: "Die Zauberfloete" Overture - dir C. Morbo
Nel 1854 viene pubblicato, a Lipsia "Vom Musikalisch-Schönen" (Del bello musicale) del critico musicale e docente universitario Eduard Hanslick. Diventa rapidamente uno dei punti di riferimento dell'estetica musicale dell'epoca, vuoi per il suo forte contenuto critico nei confronti di Wagner, vuoi per la sua vicinanza ideale con uno dei grandi protagonisti della scena musicale del momento: Johannes Brahms. Hanslick sostiene che la musica è portatrice di una bellezza sua particolare, diversa da quelle delle altre arti. Si coglie, fortissima, la critica alla concezione di Gesamtkunstwerk (opera d'arte totale), formulata da Wagner, che vorrebbe un ideale ritrovarsi di tutte le arti nel modello artistico perfetto, il Dramma di cui proprio lui, guarda caso, è l'unico artefice. Scrive Hanslick: "La forma artistica non è un qualcosa che attende di essere riempito da un altro elemento: le composizioni non si dividono in bottiglie di Champagne vuote e piene. Lo Champagne musicale ha la caratteristica di crescere con la bottiglia". Questa sua equiparazione tra forma e contenuti, si ricollega direttamente ai compositori della scuola di Vienna, città che era divenuta, nel frattempo, la dimora sua e di Brahms. Mozart e Beethoven, campioni della scuola viennese, diventano i modelli assoluti, e Brahms l'ideale continuatore. Sarà Hanslick a ribattezzare "Decima" la sua Prima Sinfonia, ad indicarne proprio la naturale contiguità con il genio di Bonn.
Ma il problema è proprio
Beethoven: infatti Wagner vede nelle sue sinfonie, il punto di partenza delle
nuove istanze romantiche. Nella Nona,"l'Inno alla Gioia
dischiude nuovi orizzonti... che Wagner stesso presume di essere destinato a
raccogliere e sviluppare." La Sesta finirà per diventare la radice da cui si
svilupperà il Poema Sinfonico. I suoi contenuti programmatici, che
suggeriscono un legame con la natura (meglio dire campagna, in cui l'autore amava perdersi in
errabonde passeggiate), ne plasmano ed articolano i suoi caratteri formali.
Colpisce sempre il terzo tempo, di questa
Sinfonia. Beethoven, che aveva sostituito con lo Scherzo l'antico
Minuetto, raffinata ed esclusiva danza aristocatica, ne aveva mantenuto
la struttura, accelerandone il moto in maniera travolgente. Nella parte
centrale, il momento più affiné, il Trio, dove il Re o
l'Imperatore di turno, rimaneva solo con la sua dama e un paio di altre coppie,
compiendo eleganti evoluzioni coreografiche, Beethoven inserisce una
vitalistica e robusta danza contadina, quasi a sancire definitivamente il
tramonto di quel mondo di settecentesca grazia, cha la storia stava condannando
inesorabilmente (la Sesta è del 1808)
Il Concerto per
violino e orchestra Op. 77 di Johannes Brahms fu concepito nel corso
dell’estate del 1878 a Pörtschach am Wörther See, un villaggio della Carinzia
nel quale Brahms trascorreva piacevoli periodi di riposo. E' dedicato al
violinista Joseph Joachim, suo amico fraterno fin dalla prima gioventù, grande
protagonista del panorama concertistico dell'epoca. La genesi dell'opera è
punteggiata da un fitto scambio di corrispondenza, in cui l'autore chiede
consigli e giudizi all'amico, spesso usando un tono leggero ed autoironico, in
cui recita la parte del discepolo che consulta il maestro. « Amico caro, (...)
vorrei mandarti un certo numero di passaggi per violino (...) Mi chiedo se non
sei tanto sprofondato in Mozart e forse in te stesso, da poter trovare di
un'ora per guardarli. » « Mi è sufficiente che tu dica una parola o che ne
scriva qualcuna sopra la parte: difficile, scomodo, impossibile, eccetera. ».
La critica accolse l’opera in maniera molto severa. Il direttore Hans von Bülow
affermò che non si trattava di un lavoro per il violino, ma piuttosto “contro
il violino”. Henryk Wieniawski lo definì un’opera “insuonabile". Il
violinista spagnolo Pablo de Sarasate si rifiutò di suonarla, ma non a causa
della sua difficoltà:« Pensate che me ne possa stare lì con il mio violino in
mano – chiese retoricamente – a sentire l’oboe che suona l’unica melodia
nell’intero pezzo? ». Il tempo però ha definitivamente sancito l'immensa
qualità artistica del lavoro ponendolo, con gli analoghi concerti di Beethoven,
Mendelssohn e Tchaikovsky, nell'Olimpo del genere.
L'Ouverture da "Die
Zauberflöte" ultimo Singspiel di Mozart, messo in scena pochi
mesi prima della scomparsa dell'autore,
rappresenta forse un unicum nella storia delle forme musicali. Risulta
essere il tentativo (splendidamente riuscito) di fondere due concezioni,
apparentemente mal conciliabili: Fuga e Sonata. L'Orfeo
tedesco si avventura in un percorso irto di difficoltà ben peggiori di
quelle affrontate da Tamino e Papageno, dove il rischio di perdere il filo del
discorso, srotolato da troppe matasse, è pericoloso come le minacce della
Regina della Notte o come i ruggiti di Monostato. Ma l'Autore, supera ogni
avversità, snocciolando inarrivabili sviluppi/divertimenti, prodigiosi stretti,
miracolosi procedimenti contrappuntistici, con una divina maestria che
sbaraglia ogni difficoltà. Con la geniale potenza, che potrebbe meritare lo
stesso commento che Sarastro intona, al termine della storia: "I raggi del
sole, dissipano la notte"
Claudio Morbo